Girasoli, presentato in anteprima al Torino Film Festiva, segna l’esordio alla regia di Catrinel Marlon, madrina dell’evento, girato tra l’Italia, Belgio e la Romania, mette in scena un tema molto delicato: le malattie mentali.
Nel cast Gaia Girace, Monica Guerritore, Pietro Ragusa, Mariarosaria Mingione, Angela Ciaburri.
Girasoli
È il 1963 quando Anna, un’orfana cresciuta con le suore, viene spedita come un pacco postale al Manicomio di Santa Teresa di Lisieux.
L’ambiente e il personale sono ostili e tutto è così angusto e deplorevole, a tal punto da essere una prigione eterna destinata ad essere dimenticata da Dio. Sbarre alle finestre, mura ammuffite, intonaco marcito, bagni gelati, regole intransigenti e punizioni senza umanità scandiscono le giornate infinite dei malati.
Schizofrenici, dementi, epilettici sono i bambini che affollano il padiglione 90, lontani dalla realtà e rinchiusi nella propria mente. Tra loro Lucia, una ragazza affetta da schizofrenia, è la cavia del dottor Oreste. Contesa tra quest’ultimo e la dottoressa Marie d’Amico su quale sia la terapia più innovativa da eseguire per la paziente, c’è Anna, neo diciottenne, che vede una realtà condita di orrore e sopraffazione e a lei non familiare.
L’arrivo di Anna nel padiglione 90 porterà una pennellata di colore a quella tela grigia, il cui sfondo è il Manicomio di Lisieux. La sua spensieratezza, l’ottimismo, la conoscenza del mondo esterno, della canzone ricorrente “Guarda come dondolo, guarda come dondolo” apriranno una luce di speranza per quei bambini ormai spenti e attanagliati dalle sevizie inflitte a ritmo della canzone di Edoardo Vianello “Guarda come dondolo”.
Anna col tempo instaurerà un legame speciale con Lucia e porterà la strade delle due ad incrociarsi di continuo fino ad un momento di svolta per entrambe
La denuncia sociale e l’amore
Gli anni ’60 vivono i tumulti del mondo della psicologia grazie alle idee innovative di Franco Bersaglia, il quale sosteneva la reintegrazione dei malati di mente nella società. La nuove frontiera della psicologia è qui rappresentata dalla dottoressa Marie D’Amico che si scontra costantemente con quella medievale e inconcludente del dottor Oreste, sostenitore dell’impossibilità di recupero dei malati e di esperimenti ai limiti dell’umanità. In questo tête-à-tête vince Anna, la quale senza laurea psicologica e teorie innovative, riesce a far assaggiare un po’ di libertà a Lucia con la sola forza dell’amore.
Mi hai insegnato che potevo sentire e ti ho sentita. Sei il mio sole che mi scalda la pelle
Il girasole leitmotiv della pellicola sta a simboleggiare quella libertà di cui parla Anna perché i girasoli “sono i pazzi che girano da soli”, cioè un paziente a cui è permesso girare da solo. Un’alternativa all’internamento a vita, che l’istituzione le imporrebbe compiuti i 16 anni.
Il racconto narra eventi brutali realmente accaduti fino all’entrata in vigore della legge Bersaglia e la chiusura definitiva dei manicomi. La regista non si sofferma solo sugli aspetti degradanti del frenocomio, oltre la denuncia sociale e l’amore, c’è un messaggio di speranza e trasformazione. È un invito a trovare la bellezza anche nelle difficoltà e a scoprire una nuova luce dentro di noi. Con interpretazioni intense e una narrazione coinvolgente, questo film promette di lasciare un segno profondo ricordando che, come i girasoli, ci si può sempre rivolgere verso il sole, anche dopo le tempeste più devastanti.