Mufasa: Il re leone campione d’incassi al botteghino del week end festivo, ma non convince. Il film di animazione della Disney – alla seconda settimana di programmazione – dal 26 al 29 dicembre ha incassato 6.773.368 euro (+49%) e una media di 10.020 euro, per un totale di 13.539.206 euro.
Il nuovo film si presenta come il prequel della storia di Simba, raccontando le origini del leggendario re della Savana, Mufasa. Tuttavia, nonostante l’uso massiccio della CGI, non può definirsi un vero live-action. Il risultato è più un prequel mal riuscito che un’innovazione degna di nota.
Sono passati trent’anni dal debutto del Re Leone originale e, nonostante ciò, quel capolavoro rimane uno dei film simbolo della Disney. Da allora, il colosso dell’animazione ha cercato di capitalizzare ulteriormente il successo con ben cinque remake, l’ultimo dei quali nel 2019. Ogni produzione post-1994 porta con sé l’ingombrante ombra dell’originale, ineguagliabile, invincibile e sempre fonte di ispirazione, proprio come è stato Mufasa per Simba e per sua figlia, Kiara
Mufasa- Il re Leone
La narrazione si apre con il volto familiare di Rafiki, il mandrillo sciamano che decide di raccontare la storia del leggendario Mufasa a Kiara, in una piovosa giornata. La cornice si arricchisce con il ritorno di Pumba e Timon, che continuano a offrire momenti comici tra una pausa e l’altra. Da lì, il racconto si sposta sulla giovinezza di Mufasa, che, perso durante una piena nella valle, approda in un angolo sconosciuto del vasto mondo. Qui incontra Taka, il principe ereditario della Valle dei Leoni, destinato a succedere al padre. Mufasa, il cui nome significa “Re”, è trattato come un emarginato, costretto a crescere in un contesto dominato dalle “femmine”. Nonostante ciò, il legame con Taka si rafforza, e i due diventano fratelli, non di sangue, ma per scelta. La figura di Mufasa come emarginato e “buono” lo porta a compiere scelte che definiranno la sua ascesa. Quando i veri emarginati, i leoni bianchi, arrivano per conquistare il territorio, Mufasa e Taka sono costretti a fuggire e a intraprendere un lungo viaggio verso Milele, terra di salvezza.
Le differenze con Il Re Leone
Nonostante Mufasa voglia raccontare una storia a sé, le somiglianze con Il Re Leone sono evidenti in più di un aspetto. Mufasa, infatti, è molto simile a Simba: perde la famiglia e deve ricostruirla, è un cucciolo coraggioso e fiero, si scontra con nemici che tramano nell’ombra e deve affrontare anche i volubili umori di chi gli è vicino. E, come nella storia di Simba, non mancano Timon e Pumbaa, che, come ormai noto, sono le vere star della saga. Sebbene questi due personaggi siano parte integrante della narrativa, qui risultano completamente forzati, inseriti in un meta-racconto che fa da cornice all’avventura, ma senza aggiungere nulla al cuore del film.
La strategia della Disney è chiara: replicare il successo, senza osare troppo. Peccato che l’esperimento non riesca. La pellicola del 2024 evidenzia le debolezze della Casa del Topo, che faticano a mantenere una coerenza stilistica e rischiano di scivolare troppo spesso nel politically correct. Sebbene la tematica di fondo – l’emarginazione e i valori che ne derivano – sembri originale e attuale, i personaggi principali, insieme alla CGI che non riesce a rendere visibilmente le emozioni sul loro volto, appaiono poco profondi. Il personaggio di Taka, che diventa il villain della storia, nasconde un conflitto psicologico che viene trattato troppo superficialmente, lasciando persino Mufasa, sulla cima innevata della montagna, perplesso e privo di comprensione. In questo modo, sebbene il viaggio verso Milele si snodi in modo lento e serrato, il trattamento delle emozioni, dei dialoghi e degli umori risulta frettoloso e poco coinvolgente.
Il favolismo cede il passo al realismo
Non si può chiamare live-action, ma se questa è una produzione in CGI, come definirla? ma soprattutto: è necessaria? Jenkins aveva consapevolezza di questo possibile punto debole e aveva rassicurato i più scettici, promettendo che gli errori evidenti nel remake del 2019 sarebbero stati corretti. Ma cedendo al fotorealismo, si perde l’anima del Re Leone.
Gli splendidi fili d’erba e le valli piene di fiori, tanto realistici da sembrarci di sentirne il profumo attraverso lo schermo, non riescono a compensare la mancanza di emozioni nei volti dei felini. La tradizionale vis comica, che solitamente bilancia la narrazione più seria e tormentata (come nel caso della trasformazione di Taka nel villain, del suo esilio o della perdita dei genitori di Mufasa), qui è assente. Lo spettatore non riesce a vivere la storia, ma rimane distante, osservando tutto con un atteggiamento razionale, quasi documentaristico.
La magia della favola si è persa, lasciando spazio a un realismo che non si adatta alla natura di questo racconto. Il cerchio della vita, che tradizionalmente si tramanda di padre in figlio, dal passato al presente, si è spezzato.
La grandezza epica cede il passo a un realismo che non fa giustizia a una storia che dovrebbe essere intrisa di immaginazione. Un nostalgico richiamo all’epoca d’oro della Disney, quando la magia dei mondi creati era in grado di emozionare sinceramente il cuore degli spettatori.